Umanesimo a rischio: tre studiosi lanciano l'allarme sul "Mulino"
Tratto da <<Sette>> del 6 dicembre 2013
Tra gli intellettuali europei si evidenzia sempre più un interesse specifico a riportare in auge quel bistrattato umanesimo che pare opporsi al metodo e agli intenti scientifici. Nulla di più sbagliato! Gli interventi che seguono mostrano tale sincera preoccupazione attualmente in Italia e soprattutto in Lombardia, considerato che l'Esposizione del 2015 ha - o dovrebbe avere - un profondo valore umanitario, modernizzando e sintetizzando i concetti di AGAPE, Cenacolo ecc. quali momenti di condivisione del cibo come espressione di umanità condivisa.
La Cina è lontana, e Confucio nessuno se lo fila, qui da noi. Almeno tra i politici nostrani. Che il loro quarto d'ora di warholiana celebrità (malfamata) se lo conquistano comunque. Anche spezzando le reni alla Cultura. A Luigi Berlinguer bastarono due nefaste "uscite", l'una fatta, l'altra detta, quando dirigeva il ministero della Pubblica Istruzione. La prima fu la riforma universitaria del 3+2, che ha declassato l'università italiana a livelli da quarto mondo. L'altra, l'accusa impietosa al liceo classico, condensata in una frase pesante come un macigno: «Il liceo classico ci ha corrotto».
Era un autodafé inflitto a una certa idea degli studi, sistematizzata da Gentile e non disprezzata da Gramsci, che privilegiava la teoria e l'educazione alla riflessione e al dialogo rispetto alle abilità manuali, del tutto trascurate in quell'ordine di studi. Berlinguer non si è mai pentito di quell'affermazione, mentre non è affatto acquisito che le accresciute potenzialità manuali connesse con l'uso dei più svariati strumenti tecnologici facciano crescere nei giovani il «pensiero critico». È il punto forte del libro di Martha Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica (Il Mulino), in cui la filosofa americana sostiene, tra l'altro, la tesi espressa dal presidente Barack Obama nel corso dell'inaugurazione dell'anno scolastico 2009/2010, secondo cui investire più tempo a insegnare cose che servono prepara i giovani alla carriera, mentre investire più tempo a insegnare cose che non servono li prepara all'umanità. Qui da noi invece per i politici è quasi un vanto dare addosso alla cultura.
E screditarla. Come fece Tremonti con la sciagurata affermazione che "con la cultura non si mangia". Per non parlare dell'ex ministra della P.I., Mariastella Gelmini, a biasimo della quale, tra le tante iniziative bislacche e gaffe mostruose, va ascritta anche la cancellazione della Storia dell'arte tra le discipline d'insegnamento. Evidentemente, per lei e per il partito in cui milita, l'Italia è priva di beni culturali e opere d'arte da studiare e tutelare. Con politici di tal fatta noi potremo conseguire soltanto il triste primato nell'arte dell'incuria del patrimonio artistico. Ma affidato alle mani di quali custodi! l quali farebbero bene a leggere il recente pamphlet di Nuccio Ordine, L'utilità dell'inutile (Bompiani) sottotitolato "Manifesto", quasi a... convocare una rivolta morale degli uomini che credono nella necessità di difendere il primato delle "arti della gioia" sulla logica utilitaristica del mercato e del profitto...
Oggi l'Italia è in affanno più di altri Paesi europei perché più penalizzati sono gli investimenti statali nella cultura e nella ricerca. È inevitabile che così la società precipiti nel baratro dell'ignoranza. Se ne lamentava Victor Hugo in un discorso pronunciato il 10 novembre 1848 nell'Assemblea Costituente francese, definendo negative «le riduzioni proposte sul bilancio speciale delle scienze e delle arti». Ma i francesi hanno imparato la lezione se destinano ben 254 milioni di euro alla Bibliothèque Nationale parigina, che «ha un numero di dipendenti più elevato di tutte le 46 biblioteche statali [italiane] messe insieme» (G.A. Stella, sul n. 44 di Sette), mentre la Biblioteca Nazionale di Firenze deve contentarsi di appena 2 miserrimi milioni di euro...
Paolo Fai, Solarino (SR)
Umanesimo a rischio: tre studiosi lanciano l'allarme sul «Mulino>
L'articolo di Antonio Caroti è tratto dal <<Corriere della Sera>> del 4 Dicembre 2013
Via Merula, Portale di ingresso e volta di Villa Corio in via Merula (Naviglio Grande)
Nel '500 è stata sede del prestigioso STUDIO MERULA dove venivano "salvate" dalle invasioni turche le opere classiche di autori greci. Qui i più importanti umanisti, traduttori e intellettuali dell'epoca si incontravano e si scambiavano esperienze.
In occasione della morte di Giorgio Merula, il fondatore del Cenacolo umanistico, Leonardo da Vinci fu incaricato da Ludovico il Moro di eseguire il famoso Cenacolo di S. Maria delle Grazie. Sono ancora visibili sotto i più recenti restauri, i ritratti di molti degli umanisti passati per questo fondamentale centro culturale italiano.
Asor Rosa, Esposito, Galli della Loggia
Non capita tutti i giorni che Ernesto Galli della Loggia e Alberto Asor Rosa firmino lo stesso testo. Ma nel forte intervento a favore della cultura umanistica, sottoscritto anche da Roberto Esposito, che la rivista «il Mulino» pubblica sul fascicolo in uscita domani, i due noti studiosi, molto distanti sul piano politico, mostrano di nutrire le stesse apprensioni per la sorte dell'istruzione italiana e della stessa identità nazionale. L'allarme nasce dal «ripudio dell'umanesimo» e dalla «crescente tecnicizzazione» dell'insegnamento, che configurano una «rimozione del passato» destinata — secondo Asor Rosa, Esposito e Galli della Loggia — a compromettere in prospettiva il futuro dell'Italia, ma con gravi ripercussioni già nell'immediato.
Se si trascura la dimensione storica, per esempio, «la rovina del patrimonio artistico e paesistico» non può stupire. D'altronde un tratto essenziale delle materie umanistiche consiste nel loro nesso con le diverse tradizioni nazionali e la loro evoluzione nel tempo. Al contrario le discipline scientifiche, osservano i tre autori, «sono dovunque le medesime» e tendono a esprimersi su scala globale «in una medesima lingua: l'inglese».
Se a queste ultime viene assegnata una priorità assoluta, i lineamenti specifici di una cultura rischiano di affievolirsi fino alla cancellazione. A ciò si aggiunge la dequalificazione degli studi umanistici nell'università di massa, con discipline che si frantumano e moltiplicano all'infinito, il carico didattico che si riduce «a misure spesso ridicole», l'adozione di criteri meramente quantitativi in sede di valutazione dei docenti o aspiranti tali. Ormai, denuncia l'appello, dilaga incontrastata una visione aziendalistica dell'università, per cui il merito viene inteso solo «come prestazione in vista di un utile». E più in generale si delinea un panorama tale da far temere, si legge nell'appello «la disintegrazione dei saperi dell'uomo così come sono stati elaborati in secoli di storia italiana e non solo».
Le ricadute, per i tre studiosi, sono devastanti anche sul terreno politico, perché l'emarginazione dell'umanesimo indebolisce «lo sguardo critico sulla realtà» e depaupera le risorse necessarie per elaborare alternative a un modello sociale fondato sulla «omologazione ai parametri globalizzati dell'attuale idolatria ideologica del mercato». Così finisce per venir meno, nonostante tutta la retorica spesa circa l'esigenza dell'«apertura all'altro», anche la capacità di confrontarsi con le diversità linguistiche, religiose, antropologiche sullo scenario mondiale. Questi problemi di portata generale, oggetto di un intenso dibattito anche all'estero (l'appello cita le posizioni della filosofa americana Martha Nussbaum, che il prossimo 14 dicembre terrà l'annuale Lettura del Mulino), si presentano poi in forma particolarmente acuta nel nostro Paese. Asor Rosa, Esposito e Galli della Loggia invitano a riflettere sul fatto che per lunghissimo tempo l'identità italiana, in assenza di uno Stato unitario, è vissuta nella condivisione della cultura storica, letteraria e filosofica: da Dante a Manzoni, da Machiavelli a Vico. Quel patrimonio, concludono, «fino ad oggi ha rappresentato una premessa indispensabile per ogni impegno politico».
E appare evidente come il suo declino, che sta assumendo i tratti di un vero e proprio abbandono, minacci da vicino le basi stesse della coesione nazionale. La rivista diretta da Michele Salvati lancia insomma con questo appello un autentico grido di dolore, peraltro in controtendenza rispetto alle molte voci che lamentano invece lo scarso rilievo riservato nel nostro Paese alla cultura scientifica e alla ricerca, spesso addossando la responsabilità più remota proprio alla tradizione idealistica di cui Asor Rosa, Esposito e Galli della Loggia rivendicano l'originalità e il valore. Ci sono tutti i presupposti per aprire una discussione forse polemica, ma certamente utile. Perché il peggior nemico della cultura, umanistica o scientifica che sia, resta sempre l'indifferenza.