Un piano inclinato che solo la politica può raddrizzare
L’articolo, di Giuseppe Sarcina, è tratto dal «Corriere della Sera» del 16 maggio 2012
La crisi non ha una sola causa e dunque non può avere un'unica soluzione.
L'agricoltura lombarda (e italiana) soffre di un ridimensionamento al tempo stesso strutturale e congiunturale. Ogni dieci anni i dati dei censimenti mostrano quasi un dimezzamento del numero delle imprese operative. E le indagini più sul corto periodo, come quella di Unioncamere Lombardia, fotografano lo slittamento trimestre dopo trimestre. A fine marzo 2012 mancavano all'appello 538 imprese su 50.999, con la brutta sensazione di trovarsi su un piano inclinato.
L'elenco dei «fattori di rallentamento» può essere sintetizzato all'ingrosso: aumento generalizzato dei costi (dal gasolio alla soia per i mangimi); diminuzione dei consumi sul mercato interno; concorrenza sempre più temibile da parte dei prodotti esteri più economici e di scarsa qualità. I segnali più inquietanti arrivano proprio dal settore di punta, il latte. Tutto il peso della crisi di fatto si sta scaricando sulla base degli allevatori, azzerando non solo i margini di guadagno, ma perfino i ricavi necessari per la semplice sopravvivenza dell'impresa. Molte aziende sono già andate sotto e hanno chiuso. Altre potrebbero seguire nei prossimi mesi. Un paradigma che vale anche per gli altri comparti, dai cereali agli ortaggi. Tocca alle istituzioni politiche reagire.
Alla Regione intervenire già sul piano congiunturale. Al governo centrale riprendere il filo di una trattativa europea perso di vista nel 2011, anno in cui a Roma si sono avvicendati tre ministri. Se la nuova politica agricola comune (Pac) dovesse passare così com’è, in Lombardia potrebbero saltare larghe fasce della zootecnia e intere colture, come quella del riso.