«Graffiti» dei celti sui muri di casa. I residenti-archeologi di Mesiolano
Via San Vito, scavi e reperti nelle cantine
E alle Colonne i ragazzi girano film storici
L’articolo, di Andrea Galli, è tratto dal «Corriere della Sera» del 27 febbraio 2011
Buio. Lampadina fulminata. La torcia a manovella non basta, maledizione, da dove l'avete tirata fuori? Scavini a precipizio. Bisogna far squadra, avanzare insieme. Vietati i guizzi individuali. Lei, sì, con quella barbetta all'Italo Balbo e il fare da folletto, lei si fermi un attimo: prima le presentazioni. Giorgio Fumagalli. Anni 71. Prof di matematica in pensione. Casa in viale Zara. Lontano da qui. Epperò, in quanto archeologo – passione, missione, azione – ben accetto. Ospite gradito. Forestiero di casa. Via San Vito è piena di archeologi. Cittadini, commercianti. Conoscitori, interessati, intenditori. Si va in profondità. Anzi: alle origini. A chi c'era prima. Anche prima dei Romani.
Nella cantina al civico 18, dove vari appassionati di cose antiche fan capatine, blitz, agguati coinvolgendo perfino l'iper professionale portinaio filippino Agapito Cruz, 42 anni, fra le fondamenta spunta un'epigrafe. Celtica. C'è scritto Mesiolano. L'antica Mediolanum.
I segni dei tempi ben evidenti. Destino del quartiere. Si torna in superficie. Verso San Lorenzo è un crescendo di scritte. Su portoni, garage, edicole, auto parcheggiate. Ovunque. I graffiti.
La solita storia. Che ogni tanto fa il suo giro. Proprio davanti alle Colonne – bivacchi, il monumento alla movida e/o al degrado giovanile – ciak, si gira. I ventenni del Centro sperimentale di cinematografia preparano una docu-fiction sulla città d'un tempo. Seri, concentrati, maniacali. Scusate, una domandina, si può?
«Ssst. C'è una scena da finire». Passione. Missione. Azione.
Nel sesto secolo avanti Cristo, racconta il prof Fumagalli, i Celti e in particolare la tribù degli Insubri superarono le Alpi e una notte sostarono in una radura. Guardarono in cielo. C'era l'allineamento dei pianeti, fenomeno che si ripete a distanza di secoli. Sommo auspicio, sentenziarono gli indovini. Il luogo è giusto, si proceda. I Celti edificarono Milano. Eseguirono l'ordine. Non era tollerata l'insubordinazione, sebbene quella fosse una tradizione etnica: assai più tardi, nel 222, la città fu presa dai Romani e bisognò aspettare il 194, con la sconfitta degli Insubri, per sancire il dominio dell'Urbe e spegnere l'ultimo focolaio di ribellione.
Al civico 26 di via San Vito c'è uno scantinato enorme. Ci avevano fatto una discoteca. Chiusa, adesso. Spazio in vendita. Voci: costa quasi due milioni di euro, interessa a un duo di stilisti, i proprietari sono otto, e «sette sono romani». Lo scantinato è un tesoro di mura romane. Che storia. A volte piacerebbe conoscerla. Ci vorrebbe almeno un aiuto. Un cartello, per cominciare. Nell'area della Basilica, di cartello informativo ce n'è solo uno. Saccheggiato. Adesivi, pennarelli, spray. Risultato: «Co**onne di San Lor*n*o. Costituiscono il lato ove** *** **adriportico». L'asterisco indica quel di scritto che non si può leggere.
Scrivere. «Grafia piuttosto curata, con ductus destrorso» è l'analisi sull'epigrafe scoperta al civico 18. Giudizio riportato dagli esperti nel libro (Edizioni Spaziotre) Celti d'Italia. L'epigrafe. Avviciniamoci. Agapito, per cortesia, illumini. Un po' più a destra.
Perfetto. Accanto a Mesiolano vi sono la dicitura miliaros e il numero XXIV. Ventiquattro miglia. S'intende: «Ventiquattro miglia da Milano». La lapide stava altrove, «posta a grande distanza dal centro». Come finì in città? Chi l'ha messa? «Chissà». Ma che importa. Se non tutte, coi Romani tante strade portavano a Milano.
Impiccagioni, roghi, supplizi
Gli ex patiboli diventano parchi
Un tempo luogo davvero brutto, cattivo, attraversato da un fosso puzzolente. Dove oggi c'è il parco, assai chic, delle Basiliche abbondavano le botteghe di conciatori, che appunto lordavano le acque. Ma questo era il meno. La zona della Vetra (da vetraschi, ossia i conciatori) serviva soprattutto per far finire brutalmente le vite dei milanesi. Quelli figli del popolo, però (per i nobili c'erano altri posti). Alla Vetra si succedevano impiccagioni, roghi, supplizi vari. Punizioni, vendette, esecuzioni. Giustamente, dunque, la zona aveva fama sinistra. Era temuta. Chi poteva, la evitava. Difatti chi si trovava lì, spesso l'avevano portato a forza.